La fauna fuori controllo: i danni della visione Toso
La Fauna Fuori Controllo: i danni della visione Toso
Le contraddizioni di un sistema che fallisce
di dr GIAN CARLO BOSIO – MEDICO VETERINARIO
Mentre Silvano Toso continua a presentare la propria visione come l’unica via “culturalmente sostenibile” per il futuro della caccia e della gestione faunistica in Italia, la realtà dei fatti, visibile ogni giorno sul territorio, racconta un’altra storia. Quella di una fauna selvatica fuori controllo, di un’Italia trasformata in un allevamento di ungulati a cielo aperto, e di un modello gestionale tecnocratico, distaccato dalla realtà e soprattutto, fallimentare.
E non parliamo di un semplice punto di vista divergente, ma di un’eredità concreta: quella lasciata da Toso stesso quando fu alla guida dell’INFS e poi di ISPRA. Un’epoca segnata da inefficienze, immobilismo e da una gestione talmente scollegata dalle esigenze territoriali da aver contribuito attivamente al disastro ecologico e agricolo in corso.
UN MODELLO CHE HA FALLITO
La retorica di Toso, apparentemente forbita e colta, si regge su una visione idealistica della gestione faunistica e venatoria: tutto dovrebbe partire da una “riforma culturale”. Ma mentre lui sogna, gli agricoltori contano i danni, i cinghiali invadono le strade e i boschi sono abbandonati a sé stessi.
Le sue proposte – che spaziano da modelli elitari di gestione territoriale a suggestioni iper-regolamentate in stile eurocratico – hanno un filo conduttore chiaro: tenere il potere gestionale in mano a una tecnoburocrazia fallimentare, che si è dimostrata incapace di contenere il collasso degli equilibri tra fauna, agricoltura e territorio.
Durante il suo mandato, la gestione della fauna ha perso ogni legame con il principio cardine di qualunque sistema sostenibile: il presidio del territorio. E il risultato è evidente a tutti, tranne a chi come Toso vive di teorie: oggi gli ungulati proliferano senza controllo, in assenza di un’efficace azione preventiva e di contenimento, e con l’ISPRA che ha preferito limitarsi a raccolte dati e pareri, mentre i territori franavano sotto la pressione faunistica.
ISPRA: TECNICA SENZA SOLUZIONI
Toso si lamenta del DDL 1552 e di una presunta “mancanza di visione culturale” nella riforma della 157/92. Ma dimentica – o finge di dimenticare – che proprio la cultura del non-decidere, dell’analisi infinita e della tecnocrazia paralizzante promossa da ISPRA ha paralizzato per anni ogni azione concreta.
L’Istituto, sotto la sua direzione, ha prodotto linee guida su linee guida, zavorrate da un approccio iper-prudente, che ha reso quasi impossibile ogni serio intervento di gestione faunistica sul territorio, criminalizzando di fatto i cacciatori e ignorando la voce del mondo agricolo.
E mentre ISPRA – e lo stesso Toso – si attardavano in dissertazioni accademiche sulla “res communitatis” della fauna, i danni alle coltivazioni raggiungevano livelli record, i costi per le assicurazioni aumentavano a dismisura e la sicurezza stradale veniva messa quotidianamente a rischio da ungulati ormai fuori controllo.
UN MODELLO IDEOLOGICO, NON PRAGMATICO
L’utopia di Toso, come lui stesso la definisce, è un’utopia autoreferenziale. Si fonda sull’idea che la caccia debba “essere giustificata” in quanto “non fa male” alla fauna. Un paradosso: legittimare un’attività millenaria non in base alla sua funzione ecologica, sociale o economica, ma solo nella misura in cui si autocastri, rinunciando alla sua dimensione di intervento attivo.
Il risultato è che la caccia viene trattata come un’eccezione tollerata, anziché come uno strumento centrale di gestione del territorio. Una visione che nega il ruolo che cacciatori consapevoli e preparati possono – e devono – avere nel monitoraggio, nella conservazione e nel controllo della fauna. Un modello che sacrifica il buon senso sull’altare di un finto ambientalismo che ha ormai perso ogni legame con la realtà.
LA REALTÀ: LA FAUNA SI GESTISCE, NON SI OSSERVA
Oggi non serve un’altra utopia da laboratorio. Serve una gestione vera, radicata nel territorio, con strumenti rapidi ed efficaci. Serve restituire ai cacciatori il ruolo di gestori attivi e responsabili, affiancati dagli agricoltori e dai comuni. Serve una legge che superi la 157/92 non con filosofie da salotto, ma con criteri operativi: abbattimenti mirati, semplificazione normativa, risorse e competenze reali. Serve responsabilizzare, non burocratizzare.
Le UTG e i modelli proposti da Toso, in cui ogni cacciatore deve diventare un burocrate e ogni riserva un laboratorio sociologico, non funzionano. Funzionano invece le riserve comunali, i consorzi attivi, le forme di gestione dove agricoltori e cacciatori collaborano davvero, senza l’intermediazione paralizzante di enti autoreferenziali.
CONCLUSIONI: L’ORA DI UN CAMBIAMENTO RADICALE
Silvano Toso rappresenta il passato. Un passato fatto di burocrazia, ideologia e immobilismo. Le sue proposte – eleganti sulla carta, disastrose nella pratica – vanno rigettate con decisione.
Il tempo degli esperimenti è finito. L’Italia ha bisogno di una gestione faunistica moderna, decisa, pragmaticamente orientata alla soluzione dei problemi. È l’ora di riformare davvero la 157/92: non con parole, ma con azioni.
La fauna selvatica è una risorsa. Ma senza gestione, diventa una minaccia. E la colpa di questo stato di cose non è del DDL 1552, ma di chi – come Toso – ha avuto nelle mani il potere di intervenire e ha scelto invece di osservare, studiare, e lasciare tutto com’era.
La fauna non si conserva con i convegni. Si conserva con il presidio, la gestione e la responsabilità. Tutto il resto è utopia.
Dr. Gian Carlo Bosio – Medico Veterinario
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